di Raffaele Iosa
So che sembrerà ad alcuni una questione nominalistica. Ma per chi si occupa di disabilità con passione civile e pedagogica le parole sono importanti (come dice Nanni Moretti).
Critico qui al proposito tre righe dell’accordo sulla sicurezza per gli esami di maturità “in presenza” riguardante gli studenti con disabilita.
In particolare questa frase apparentemente innocua ma piena di insidie
“…inoltre per gli studenti con disabilita certificata (??) Il consiglio di classe, tenuto conto della specificità dell’alunno e del PEI, ha la FACOLTÀ di ESONERARE lo studente dall’effettuazione della prova di esame in presenza, stabilendo la modalità in video conferenza come alternativa”..
È la parola ESONERARE che sa da vecchio “handicap” da cui il titolo di questo post. E un brutto (per quanto piccolo) segno linguistico e soprattutto valoriale. In realtà lo studente con disabilità non è affatto esonerato da nulla, ma viene solo “accomodata” la sua prova in altro strumento relazionale per motivi che rimangono vaghi: sanitari? Paura che infetti per il suo agire? Per motivi pedagogici o per paura del virus? E affidati alla “facoltà” del Consiglio di classe come fosse una “concessione” o forse un’autotutela. Forse persino “compassionevole”.
Il termine “esonerato” è incompatibile con i principi della Convenzione ONU del 2006 sui diritti della persona con disabilità che prevede il metodo-meta di “accomodamento ragionevole” circa l’impegno che la società deve attuare per garantire lo sviluppo della persona superando gli ostacoli che ne impediscono la piena realizzazione come vita degna di essere vissuta.
Accomodamento è mediazione, creatività, rispetto, è ragionevole perchè non chiede la luna ma il massimo possibile di dignità umana realizzata. La parola “esonero” odora di altro, di assistenzialismo. Piccola cosa, si dirà, ma che rivela un mondo (le scuole del 2° ciclo) in cui l’inclusione scolastica ha molti problemi irrisolti e una forte “isolazione” (non inclusione) dei ragazzi con disabilità negli istituti professionali, quelli che gente come Cacciari e co. da 2.500 anni di “tradizione educativa” neanche sa che esistono.
Dalla rupe Tarpea ai professionali è comunque un passo! Ma basta? Ragazzi spesso isolati in aule ghetti dette H (vedi che l’handicap non scompare nei gerghi). Ragazzi per lo più abbandonati nei gloriosi tre mesi della Dad, come si sa. E ora che arriva la prova esoneriamoli pure dalla presenza.
Per 10 anni del mio lavoro in Emilia Romagna come ispettore esperto di disabilità ho fatto intensa formazione e assistenza alle scuole perchè l’esame di maturità fosse anche per i ragazzi con disabilità un’esperienza inclusiva. Pet esempio che i “gravissimi” siano presenti, a modo loro “accomodato”, ma presenti perchè l’inclusione è prima di tutto condividere l’esperienza umana e sociale di un’intera comunità giovanile. E un esame di Stato più che una “prova” è un’esperienza significativa. Troppo spesso i ragazzi del “differenziato”, cui non viene dato il diploma, venivano lasciati a casa. Ho poi fatto fare esami in ospedale, in carcere, a casa in casi molto difficili, mai come esonero ma invece come “accomodamento ragionevole” che offra la dignità migliore possibile a tutti. Mai come esonero nè come termine giuridico nè soprattutto educativo.
Temo, infine, un’ultima questione sottintesa. E noto che in questa fase l’Italia sembra una barca che passa tra due scogli in un mare mosso: il primo scoglio è il virus che ci può prendere, il secondo è il bisogno umano e sociale di una vita più dignitosa possibile con protezioni ragionevoli. Su questo tema, non a caso, ho scritto proposte sul rientro a scuola con la logica dell’accomodamento ragionevole. Nella fase 2 e 3 dovremo convivere col virus, dominandolo meglio, ma garantendo condizioni di vita realisticamente umane e non regole – lager umanamente e psicologicamente dannose. Questo “esonerare” rischia di essere interpretato secondo il pericolo del primo scoglio (il rischio untore per la disabilita) e non come un’opportunità (da sempre prevista dalle norme) per garantire dignità. Fatta a distanza per lo più da chi in questi mesi non ha avuto neppure quella. L’esperienza dell’esame va garantita come dignità umana, il più possibile in presenza, e se si decide di farla a casa che sia un’opportunità e non un esonero.
Mi sento di essere qui pedante e puntiglioso. Ma diritti e dignità umana sono cose serie